“Collezionare francobolli ora è diventato un reato” questo è il titolo dell’articolo pubblicato ieri dal giornalista Gabriele Bertocchi su “Il Giornale.it” nel sottotitolo:
Migliaia di lettere, documenti e francobolli sequestrati ai collezionisti. Nemmeno una circolare del Ministero dei beni culturali ferma i pm.
Collezioni francobolli? Stai attento perché per la giustizia italiana sei un potenziale delinquente. Non stiamo scherzando: secondo i magistrati – che stanno ordinando sequestri a tappeto – se il francobollo è o era incollato su una busta indirizzata a un ente pubblico potresti essere incriminato per i reati di ricettazione o di incauto acquisto.
I casi
Le interpretazioni dei magistrati si basano su una legge del 2004, che stabilisce che le missive o i documenti spediti a un ufficio pubblico dal 1840, che sia lo Stato o anche Regioni, enti territoriali, persone giuridiche private senza fini di lucro, enti ecclesiastici compresi gli Stati ed enti dell’ Italia preunitaria, sono “beni culturali inalienabili”, come scrive la Verità. Ovvero documentazione storiche che deve essere custodita negli archivi statali. E secondo i giuristi anche il fancobollo è da considerarsi tale.
Sulla base della legge e dell’interpretazione dei magistrati sono incriminati dalla Procura di Cosenza per ricettazione un collezionista di Sant’ Agata d’ Esaro e sua moglie: avevano ben 13.470 lettere, tutte finite sotto sequestro. Docuementi aggiudicati all’asta e che comprendevano lettere indirizzate a preture e prefetture o a Benito Mussolini o addirittura a Vittorio Emanuele III e alla sua consorte, Elena di Savoia. Tutto è finito in mano alla Soprintendenza archivistica in attesa del processo.
Ma c’è di peggio. È il caso di Giovanni Valentinotti di Pesaro, manager in pensione e collezionista. A lui carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico hanno portato via oltre 12.000 pezzi. Tutto per colpa del web, luogo in cui offriva i sua carteggi di valore. Documenti emanati dai carabinieri pontifici di Bologna nel 1820, dal prefetto del dipartimento del Reno nel 1808 e dalla Commissione delle acque di Ferrara nel 1804. Carte che scottano secondo i pm e quindi da considerara “beni culturali, inalienabili e incommerciabili”. Per i magistrati non conta nemmeno che Valentinotti abbia ottenuto i documenti pagandoli 2 milioni di lire alla discarica di Coriano di Rimini. Il Riesame ha dato ragione al collezionista ma la Procura di Pesaro ha nuovamente disposto il sequestro con la giustificazione “erano documenti destinati alla distruzione e venivano reimmessi illecitamente in circolazione”. La colpa quindi è di chi compra non dell’ente che ha mancato ai suoi compiti, quindi alla distruzione della carte. Disavventura identica a quelle di un commerciante filatelico di Rivoli che dopo aver acquistato francobolli e lettere dalla Croce Rossa se gli è visti portare via.
Se acquisti materiali, se li vendi online o su internet vieni considerato un ricettatore o commetti il reato di incauto acquisto. “Lo Stato mette sotto processo cittadini il cui unico torto è essersi fidati dello Stato stesso che li invitava a comprare quelle lettere di cui si era disfatto attraverso gli spogli – ammette Carlo Giovanardi, senatore di Idea e presidente del circolo filatelico di Montecitorio a La Verità – stiamo parlando di centinaia di milioni di lettere la quasi totalità delle quali deriva dallo spoglio effettuato dalle amministrazioni pubbliche, sulla base di leggi che prevedevano che le tonnellate di materiale così scartato venisse consegnato alla Croce rossa, per essere mandato al macero o venduto ai collezionisti”.
E pensare che le procure non badano nemmeno alla circolare emessa dal ministero dei Beni culturali in cui si fa un distinguo tra buste o lettere trafugate dagli archivi, con relativa denuncia di furto, e i milioni di pezzi detenuti legittimamente dai collezionisti. “A nulla sono valse le circolari del ministero – sottolinea Giovanardi -, mentre in zona Cesarini siamo riusciti a bloccare un disegno di legge sull’ estensione di sanzioni penali in materia di reati contro il patrimonio culturale, che colpisce chiunque possiede beni culturali di cui non si precisa la natura”.
E così la lotta dei pm prosegue. Rischiando di affondare un mercato da 120 milioni di fatturato l’anno.
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