Inserito 24-04-2020
Argomento: (News) by info@cifo.eu

CarabinieriDopo la favorevole sentenza a novembre u.s. al nostro socio Salvatore Ciuffreda di Foggia (motivazione della sentenza a seguire), credevamo che fossimo usciti dal tunnel dell’oscurantismo di certi conservatori degli archivi di stato. Ma purtroppo no è così, perché esistono sempre personaggi che vogliono mettersi in mostra, a spese dello stato e dei poveri malcapitati.

La speranza è che queste persone agiscano in buona fede e quindi in stato di ignoranza, ovvero che non conoscono pienamente le leggi ed i regolamenti del Ministero dei Beni Culturali che hanno chiaramente indicato che buste vuote anche se recano timbri di amministrazioni, non sono beni demaniali e tantomeno di interesse del patrimonio culturale.

Riporto qui di seguito uno stralcio dell’articolo apparso il 23 Aprile u.s. su “La Stampa.it” a firma di Francesco Grignetti che come collezionisti dobbiamo tutti ringraziare per questo articolo che descrive i fatti con precisione e che dovrebbero leggere tutti i sovraintendenti degli Archivi di Stato prima di procedere ad avviare sequestri immotivati e dispendiosi per tutti.

Sino ad oggi sono stati i collezionisti attraverso le Associazioni come la nostra che si sono esposte direttamente ed il Gruppo di Modena a portare avanti una difesa del settore; ma dove sono i Commercianti, dove sono i Professionisti Filatelici, che di Filatelia & Storia Postale ci vivono!

Possibile che non promuovano nessuna azione concreta di difesa del settore lasciando anche i loro stessi associati a doversi difendere da soli? Un esposto nei confronti di chi come in questo caso promuove azioni che oltre ad andare contro disposizioni e regolamenti mettono in pericolo il settore, non sarebbe il caso di avviarla?


CERCA DI VENDERLE ON LINE GLI SEQUESTRANO MIGLIAIA DI BUSTE AFFRANCATE PERCHÉ CONSIDERATE PATRIMONIO DELLO STATO
tratto da “La Stampa.it” del 23 aprile 2020


E’ accaduto a Bologna, a inizio settimana. Colpa del Covid-19, indubbiamente. Dato che i mercatini sono vietati, e le persone hanno molto tempo libero, un collezionista-rivenditore di filatelia ha messo all’asta su una nota piattaforma digitale, partendo da una valutazione di 5 e 10 euro, alcuni pezzi della sua collezione di buste affrancate. Peccato che alcune di quelle buste del lontano passato, però, in particolare una decina di buste del periodo Cisalpino (1797-1802) fossero indirizzate a uffici pubblici. Così come i potenziali acquirenti, se ne è accorta anche la Soprintendenza archivistica dell’Emilia-Romagna che ha sguinzagliato i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico. Si è partiti da un decreto di sequestro per 13 pezzi, e si finiti, dopo lunga perquisizione e dispute, al maxi-sequestro di migliaia di pezzi. Già, perché dal 2004, sulla base del Codice dei beni culturali, che classifica come beni culturali inalienabili anche i singoli documenti indirizzati a pubbliche amministrazioni, spesso accade che qualche solerte Soprintendenza intervenga con sequestri e denunce alla magistratura.

E’ andata così anche stavolta. Al malcapitato collezionista-venditore hanno sequestrato 6mila pezzi. Sono occorse ore di verbalizzazione tanto che l’operazione dei carabinieri, iniziata alle 10 del mattino, è finita alle 23. Inutili le sue rimostranze perché è evidente che sequestrandogli tanto di quel materiale, indiscriminatamente, ci vorranno mesi prima che se ne verrà a capo e intanto la sua attività è bloccata. Ma c’è di peggio. Tutti i precedenti lasciano pensare che anche questo sequestro finirà in una bolla di sapone.

«Da sempre – commenta l’avvocato Andrea Valentinotti – le pubbliche amministrazioni operano i cosiddetti “scarti di archivio”, e quindi ciò a cui si riferisce la legge sono gli archivi “storici” e quelli conservati negli archivi di Stato già depurati dallo scarto, operato sulla base di normative che dal 1870 si sono susseguite sino ai nostri tempi». Fino al 2006, peraltro, il materiale scartato doveva essere obbligatoriamente donato alla Croce Rossa per il suo autofinanziamento e quindi è naturale che sul mercato filatelico siano presenti milioni di pezzi che riportano un indirizzo pubblico. In genere sono buste vuote.

Valore storico di questi milioni di buste vuote, poco. Lo dice il buon senso. Ma anche un parere del ministero dei Beni Culturali, firmato nel 2012 dal capoufficio legislativo Paolo Carpentieri, che chiariva come la procedura di sequestro penale potesse avvenire solamente a fronte di una pregressa denuncia di furto. Così è anche in una circolare esplicativa del ministero del 2017, emessa dall’allora direttore generale ai Beni archivistici Gino Famiglietti. Siamo arrivati al 2020, però, i responsabili ministeriali sono cambiati, e la situazione per il collezionismo postale sembra essere tornata in alto mare.

«Tali sequestri – conclude l’avvocato Valentinotti – oltre a produrre danno economico ai soggetti indagati, stanno causando una mole di lavoro enorme in capo alle soprintendenze archivistiche. Spesso si tratta di svolgere verifiche su migliaia di pezzi, sottraendo tempo alle attività istituzionali più importanti. A questo si aggiunge il tempo sottratto ai Tribunali per procedimenti che hanno sempre avuto come conclusione la formula assolutoria. A maggior ragione in questo periodo drammatico nel quale il Paese è fermo e che le sole attività di vendita on line riescono a garantire un minimo di reddito al settore, appare fuori luogo intraprendere queste azioni contro commercianti che non potranno neppure far valere i propri diritti in un tempo ragionevole».

IL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA CIUFFREDA sarà pubblicata sul prossimo numero de “Il Francobollo Incatenato” N° 306 di Maggio

Scarica gli articoli della vicenda Salvatore Ciuffreda apparsi su “Il Francobollo Incatenato N° 300 e N° 302 rispettivamente di Novembre 2019 e Gennaio 2020, cliccando QUI

Claudio Ernesto Manzati – PRESIDENTE CIFO

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